Thomas Kihara

Mi chiamo Thomas Kihara, sono nato a Nyahururu, in Kenya. Sono il preside di una scuola elementare e, attualmente, il vicedirettore di Saint Martin, un’organizzazione basata sulla comunità.
Sono un migrante della “cooperazione internazionale”. Faccio la spola con l’Italia ove sono formatore e formato. Sono profondamente legato alla mia terra “poco esplorata”. I magnifici scenari immortalati nelle riviste patinate come il Monte Kenya, la Rift Valley, i fiumi, i laghi, l’oceano, gli animali selvatici ed i musei sono solo una parte minoritaria del Kenya. Le ricchezze invisibili agli occhi stanno nelle culture popolari, nelle vite familiari, nel salutare, vestire, mangiare assieme, pascolare; la spiritualità si scioglie nell’ambiente ove sono ancora presenti i nostri cari.

Chi attraversa frettolosamente il Kenya, magari con le offerte coast to coast (dall’Oceano al Lago Vittoria) dall’alto di un SUV non ha l’opportunità di godere della ricchezza ancora oggi inesplorata di rallentare per vivere, stare, danzare e lavorare con la gente. Non ha l’occasione di godere della generosità popolare che offre del cibo senza pagare un centesimo o, a notte fonda, bere il latte conservato per i viandanti nelle zucche poste al di fuori delle capanne delle comunità di Kipsigis. Insomma, non condivide.
Lo Spirito dell’Harambee fu coniato dal Presidente Yomo Kenyatta. Una sorta di “auto aiuto comunitario” per uscire dall’ignoranza, dalle malattie e dalla povertà. Nei villaggi, ancora oggi, si trovano interessanti ed inedite forme di microcredito come l’intraducibile “merry go round” ove gruppi di 10-20 donne alimentano un fondo comune con 5 scellini/ 5 centesimi di euro al mese per aiutare, a rotazione, come in una giostra, chi si ritrova in stato di maggior necessità. Il miracolo non sta nella cifra ma nella costanza e nella fiducia reciproca che le “azioniste” pongono le une verso le altre. Storicamente la regione dell’East Africa è una comunità che condivide. Un proverbio Maasai, quasi uno scioglilingua, riassume la filosofia: “sono perché siamo ed è poiché siamo che io sono”. Una vita intrecciata con altri sino a condividere lo stesso piatto e la stessa ciotola. Un comportamento tutt’altro che individualista.

I nostri poveri? Una ricchezza! Non muovono forse in tutti noi una forza interiore che ci fa agire a favore di…? Non danno forse un senso alle nostre vite che si specchiano in loro? Non sono forse un’occasione per rivedere le nostre forze, debolezze e per risollevare le comunità del benessere dal loro torpore? Un ricchezza che si traduce in festa. A dispetto della povertà, specialmente nelle aree rurali ove i media non arrivano, la gente ha sempre un buon motivo per fare festa. Durante i funerali, quando nasce un bimbo, per il pagamento di una dote o la celebrazione di un matrimonio. C’è sempre una ragione per celebrare la vita.

A cura di Unimondo

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