Xuemei Lu

Mi chiamo Xuemei Lu, sono cinese e dal ’92 sono sposata con un italiano. Ho girato Asia, Usa ed Unione Europea. L’Africa mi fa paura.
Non ho mai avuto problemi a trovar lavoro perché conosco le lingue. Torno a Pechino, mia città natale, ogni 2-3 anni. Nella Piazza più grande del mondo (Tienanmen) faccio pattinare mia figlia e faccio volare l’aquilone.

In Cina ho avuto una solida formazione e in Italia ho seguito tre corsi per mediatrice culturale. Base, avanzato e specialistico. I primi due per introdurre i ragazzi nelle scuole ed il terzo per mediare in ospedale. Non è facile insegnare l’italiano ai cinesi. Nel mandarino – la lingua più parlata al mondo – non c’è plurale, singolare, femminile, maschile, articoli ma soprattutto non c’è l’infinita declinazione dei verbi che caratterizza l’italiano. Quanto a complicazioni il mandarino batte l’italiano per i suoi caratteri che vengono “fatti propri” solo in età adulta dopo molto studio.
Al mattino lavoro a Cinformi, una delle strutture per l’accoglienza degli stranieri più avanzate d’Italia. Sono l’unica operatrice cinese. Al pomeriggio ho due opportunità. O insegno origami presso alcune scuole e/o gruppi, divertendomi e coltivando una passione oppure aiuto i ragazzi cinesi a fare i compiti. Alla sera gestisco un circolo operaio. A dir la verità si tratta più di un circolo pensionati che di un dopolavoro vista l’età di chi lo frequenta. Insomma me ne sto quasi tutto il giorno fuori casa: lavoro, lavoro e lavoro. Il week-end lavoro solo di sera. Per noi cinesi è quasi impossibile scindere vita e lavoro e delego volentieri mio marito alla cura della famiglia.

Spesso vado nelle scuole superiori per “narrarmi”. I ragazzi mi chiedono subito dei diritti umani, del Tibet, della pena di morte, del controllo delle nascite. Ricordo loro che la Cina è anche questo ma non solo. Vi sono centinaia di cinesi poveri di cui nessuno parla. È il paese delle contraddizioni come le olimpiadi hanno ben mostrato. Un’orgogliosa dimostrazione d’unità, progresso, lavoro, pace. Da lontano è facile condannare una legge che limita le nascite ma il problema è come sfamare, vestire, dare abitazione, lavoro a 1,3 miliardi di persone. La Cina sta cercando di uscire dalla rivoluzione culturale che Mao prospettò nel ’66 che comprendeva un’educazione di massa per far figli con libretto rosso in mano. La popolazione cinese raddoppiò in una sola generazione. Il freno posto dal governo ha solo rallentato la proliferazione in quanto dal suo decreto ad oggi la popolazione è aumentata di mezzo miliardo.
Noi pensavamo di essere al centro del mondo. Di avere tutto: scuole, asili, fabbriche e lavoro. Poi nel ’79 furono aperte le frontiere e capimmo che decenni di notizie oltrefrontiera non erano del tutto esatte. Accentuavano solo le cose negative del capitalismo come l’abbandono degli anziani negli ospizi o la solitudine nei condomini. Così scoprimmo che gli europei avevano il telefono in casa, la tivù, l’utilitaria, la lavatrice. Cominciammo anche noi ad inserirci nel mercato globale pensando fosse tutto facile. Invece prendemmo le prime grandi fregature sia dall’Unione Europea che dal Giappone con contratti capestro. Ad arricchirsi furono solo i doganieri. Per loro il mercato libero significava tangenti e per noi il conseguente rincaro dei prodotti.
Nel breve periodo gli Stati occidentali hanno tentato di rifilarci la merce scadente, che non andava nel loro mercato. Un esempio tra tutti la Citroen che tentò per decenni di venderci le vecchie auto che nessuno più voleva in Francia. I tedeschi, invece, capirono subito la globalizzazione e offrirono Wolksvagen ed Audi di qualità aggiudicandosi, oggi, la metà del mercato automobilistico dall’Europa. La Fiat, ahinoi, arrivò tardi. Ma anche questo fa parte di una concezione antropologica perdente. Se continuate a considerarci un Paese in via di sviluppo avrete solo da perdere. Il libero mercato non perdona i pregiudizi.
Ora la crisi sta rallentando l’export a due cifre della Cina. La Repubblica Socialista punta tutto sul mercato interno.

Molta acqua è passata sotto i ponti e la Repubblica Popolare ha piano piano aumentato il suo stile di vita. Le metropoli sono irriconoscibili. Nonostante forti disparità il tenore di vita è aumentato per molti ed è con soddisfazione che vedo mia madre godersi la sua pensione e mia figlia far volare l’aquilone.

A cura di Unimondo

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