Fateh Ahmdam

Mi chiamo Fateh Ahmdam, sono nato a Tulkarm, in Palestina, 59 anni fa. Sono sempre stato molto attivo politicamente nel mio paese. L’Unione degli studenti palestinesi mi consentì di andare a studiare in Italia. Non c’erano università in Palestina: sarei andato a studiare anche in India o in Afghanistan se ci fosse stata la possibilità, ma per studiare negli anni ottanta c’era solo l’Italia.
Dopo sei mesi passati all’Università per stranieri di Perugia, mi sono trasferito a Palermo. Eravamo una élite composta di coloro che potevano permettersi di studiare in un paese straniero, non vivevo male.
Poi non ho più voluto accettare aiuti economici dalla mia famiglia e ho iniziato a cercare lavoro. L’ho trovato prima con i sindacati, ho tenuto io il primo sportello legale per migranti a Palermo. Ma pagavano poco e, quando ho trovato lavoro in una pizzeria, ho deciso di lasciare. In quella pizzeria ho lavorato per tantissimi anni come cameriere.

Non ho mai avuto problemi. Parlo liberamente con le persone, ma non accetto insulti. Questo ha fatto sì che le persone nutrissero sempre molto rispetto nei miei confronti. Certo, se c’è una cosa che dell’Italia non sopporto è la volontà di essere sempre pronti a fregare, questo essere “truffaldini”. In più nella mia terra era mio padre a dare lavoro agli altri, in tempi di crisi. Non avrei mai potuto accettare di essere dipendente di qualcuno. Con il titolare di quella pizzeria si era creato un rapporto di fiducia, ma poi ho deciso di aprire un’attività tutta mia. Gestisco un ristorante palestinese e sono presidente di un’associazione, una Casa per la cultura araba. E voglio che sia frequentata da palermitani, più che da arabi. L’intento è di sensibilizzare la gente sulla questione palestinese. Sono rimasto qui perché questa città mi ha stregato e le persone che la abitano sono molto umili. L’unica minaccia è l’indifferenza, che non ha a che vedere con la discriminazione razziale, ma resta una grande barriera.

Se potessi me ne andrei immediatamente e sarei in prima linea nella difesa dei diritti palestinesi: della mia terra mi manca tutto. L’aria, i sapori, l’odore degli ulivi. Conto di tornare, ma non adesso. Ho una sorta di missione che mi porto dietro da trent’anni: laurearmi in architettura, il vero motivo per cui sono venuto qui. Poi c’è il ristorante, l’associazione. Non ho la cittadinanza, ma qui ho costruito troppe cose per lasciarle adesso.

A cura di Arci Sicilia

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