Najji Mohamed

Mi chiamo Najji Mohamed, sono nato in Marocco nel 1961. Nel 1990 sono arrivato in Italia con un visto turistico ed ho lavorato in nero a Milano. Dopo quattro mesi ho ottenuto la sanatoria e quindi sono potuto tornare in Marocco per metter su famiglia. Mai più clandestino.
Tornato in Italia, ho cercato un lavoro regolare e sono riuscito a trovarlo, così ho iniziato a fare il cavatore di porfido in Val di Cembra (TN). Un lavoro duro ma con una paga buona che mi ha permesso di abitare il territorio conoscendo gente, annusando opportunità sino al passaggio da cavatore a trasportatore per conto della Cooperativa Sant’Orsola.

Ho preso la patente “C” per “girare l’Italia” per 13 anni: dal lunedì al sabato. Da marzo a novembre. In inverno, quando non c’era più frutta di stagione, trasportavo terriccio, concime e piantine ai piccoli coltivatori. Scaricavo, osservavo, imparavo ed annotavo. So tutto su lamponi, more, fragole, fragoline, ribes rosso, bianco e nero. Insomma, ne ho viste di “tutti i colori”. So riconoscere gusto, colore, brillantezza, forma, consistenza di ogni piccolo frutto. Mica male per un ex cavatore di pietra dalle mani a morsa.
Poi il salto a piè pari. Da trasportatore ad imprenditore. Ho creato una società con un altro compaesano. Prima undici poi ventisei campi in affitto in Veneto nel veronese. Il segreto in due parole: lavorare ed innovare. “Non si nasce imparati!”. Per la raccolta mi sono fatto aiutare soprattutto da giovani marocchini. In tutto 25 dipendenti. Metà uomini e metà donne. Meglio le seconde: più ligie al lavoro. Il turnover è piuttosto alto. Chi nasce in città, veste bene, ha un’ auto di proprietà o ha studiato, prima o poi lascia la terra anche se il reddito è minore. Chi invece calza stivali è abituato a lavorare sin da giovane, sopporta caldo e freddo, tiene famiglia ed affonda nel fango ma non lascia l’azienda agricola. Non si mette in malattia. Gli extracomunitari sono la forza lavoro dell’agricoltura italiana che è la colonna vertebrale dell’economia. I veneti si stancano di stare in serra.
Lavoro duro? No. La coltivazione è sempre più fuori suolo, ad altezza uomo. Non serve piegarsi per raggiungere le piantine. Ma i piccoli frutti non sono né cristiani né mussulmani. A tempo debito devono esser raccolti. Fosse anche venerdì, sabato o domenica. Ci si riposerà il giorno dopo. Un giorno di ritardo e si butta via il lavoro di mesi. Qui non parliamo di lattuga, carote o patate che possono essere raccolte in ritardo. Un po’ come il latte. Le vacche vanno munte al bisogno.

Quando arrivai in Italia pesavo 53 kg ed oggi il doppio: 106. Secondo il parametro africano è una bella soddisfazione.
Ho una moglie e cinque figli: due nati in Marocco e tre in Italia. Auto e casa di proprietà. Nel 2007 sono stato eletto, dall’assemblea della Cooperativa, consigliere di amministrazione: 56 milioni di fatturato, 1266 soci, 8.000 tonnellate commercializzate.
Conosco quasi tutti i soci della Cooperativa presenti nelle dieci regioni italiane. Il segreto dei “piccoli frutti” è l’aver messo a frutto i saperi della gente di montagna. L’aver coniugato i saperi con i sapori, insomma. Ciò ha bloccato l’esodo dai paesi più remoti che vengono nuovamente abitati da migranti. Nuova linfa alle scuole, ai mercati di paese, alla socialità.
Il segreto? La qualità del prodotto e la “filiera corta”: dalla campagna alla tavola. Non potevamo certo competere con il Cile per i mirtilli o la Germania per le fragole ma le massaie riconoscono il “sapore di casa”. Non è un caso che il mercato dei “piccoli frutti” stia andando in controtendenza rispetto al mercato ortofrutticolo (in calo per l’attuale minor disponibilità finanziaria delle famiglie).
Il settore, inoltre, è un motore di sviluppo. Laddove non nasce il melo o la vite come in zone remote della Calabria possiamo coltivare i “piccoli frutti” offrendo nuove opportunità. La Cooperativa Sant’Orsola ha 27 aziende agricole socie in Calabria con 40 ettari di terreno coltivato. Si rapportano direttamente con la centrale della Val dei Mocheni bypassando la malavita locale. Il partenariato nasce dalle relazioni e quindi dalla presenza di Mons. Bregantini nella Diocesi di Locri.

Se tornassi in Marocco non mi dispiacerebbe diffondere lo spirito di reciproca mutualità che è proprio della cooperazione. È un po’ triste vedere i contadini del mio paese avviarsi verso il mercato per vendere i prodotti del proprio campo in balìa di un mercato i cui prezzi impazziscono di giorno in giorno.

A cura di Unimondo

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